venerdì 29 ottobre 2010

Accarezza il gattino, ti porterà fortuna!

martedì 1 luglio 2008

Attila József: Dimmi, che cosa

Dimmi che cosa serba la sorte

a chi non può nemmeno zappare

i cui baffi non perdon molliche

e poltrisce tra cupe angosce;

pianterebbe patate a terzadria*

ma di terra libera non ce n’è

i capelli gli cascano a ciocche,

e lui manco se n’ accorge?

Dimmi che cosa serba la sorte

a chi coltiva cinque are,

un pollo gli gracchia fra le stoppie

e nella fossa s’annidano ansie..**

il giogo non cigola, né il bue

muggisce - non ce n'ha -

e dal fondo fuma la pignatta

quando la famigliola mangia.

Dimmi che cosa serba la sorte

a chi solo vive, solo guadagna;

il suo pasto è insipido

il bottegaio non dà credito;

per legna ha una sedia rotta,

sulla stufa crepata siede il gatto

con la chiave scandisce un ritmo,

guarda, guarda e solo va a letto.

Dimmi che cosa serba la sorte

a chi lavora per la famiglia:

per un tozzo di pane ci si azzuffa

e al cinema va solo la figlia;

la donna lava sempre - martire del fradiciume-

la sua bocca sa di minestra

e quando il bisogno spegne la luce

il silenzio origlia, il buio fruga.

Dimmi che cosa serba la sorte

a chi gironzola attorno alla fabbrica;

al suo posto una donna fatica

e bambini dalla testa sbiadita;

invano sbircia nel recinto,

porta ceste, trascina sporte,

se s'addormenta, è risvegliato

e se ruba, è beccato.

Dimmi che cosa serba la sorte

a chi vende sale, patate e pane

a "pago domani", in carta da giornale,

e non spolvera la bilancia;

nella luce fioca brontolando rassetta

- troppe le tasse, alto il canone -

e non guadagna, eppure fa la cresta

sul petrolio per lampade.

e dimmi, che cosa serba la sorte

a chi è poeta, e questo è il suo canto,

sua moglie lava il pavimento

lui di copiature sbarca il lunario;

il nome, se se l'è fatto, è un marchio

come di un sapone qualsiasi

e la vita, se ne ha ancora una,

è dei proletari posteri?!

* Terzadria – parola coniata sull’esempio di mezzadria, ma invece che dividere a metá, dividono in tre quanto coltivato

*Si parla della fossa che nelle campagne ungheresi si usava per tenere al fresco quanto coltivato (patate, cavoli, rape ecc.) il povero ha il pensiero di come riempirla per l’inverno.

mercoledì 9 gennaio 2008

Attila József, Non essere avventato


Non essere avventato.

Benchè il guadagno sia di un altro,

solo precisamente e bene,

come nel cielo camminano le stelle,

così conviene lavorare.

mercoledì 31 ottobre 2007

Attila József, Al mio compleanno

Ho compiuto i trentadue

Mi faccio regalo di queste rime:

Dono

Vano.

Un presente, un piccolo cadeau

Scritto al banco di un caffè

Da me

A me.

Fuggiti questi anni miei

le “mille al mese” non l'ebbi mai
O Patria,

son paria!

L’insegnante potevo fare io

Non il consuma penna-stilo

Povero

Diavolo.

Non lo feci: chè mi allontanò

A Szeged dall’ateneo

Un capo

Sciapo.

Un abuso rapido e ruvido

Per il mio „A cuore candido”.*

Egli protesse

Indefesso

Contro di me la Patria!

Immortalato qui sia

Nome e

Solerzia:

„Finché ho mente sobria

Lei qui non si laurea”

così bela

e si bea.

Il Signor Horger si delizia

se il poeta non studia?

Meschina

letizia.

Io l'intero popolo

-non a grado di ginnasio-

farò mio

discepolo!



*“A cuore candido” titolo di un libro di versi e una delle poesie di J.A., fece scalpore a livello nazionale per il suo amaro cinismo (anni Trenta! nazionalismo, fascismo).

“Non ho padre né madre, né Dio né Patria, né bacio, né amante, né culla né coltre…”questi sono i primi versi, sto ancora lottando con la traduzione

le origini della bistecca alla tartara

"Secondo la tradizione, la “bistecca alla tartara” avrebbe questo nome proprio perché “inventata” dai popoli nomadi e guerrieri dell’Asia centrale, chiamati genericamente “Tartari” o “Tatari” in Occidente, i quali usavano mettere pezzi di carne delle bestie abbattute perché malate o ferite, tra la sella ed il dorso del cavallo: l’attrito di una giornata di galoppo ammorbidiva e macinava la carne rendendolo ancora più commestibile e gustosa.
Di questa pratica parla già lo storico Ammiano Marcellino attribuendola agli Unni.
Inutile dire che tra questa “ricetta” barbarica e la delicata preparazione entrata a far parte della grande cucina classica col nome di “steak tartare” la sola parentela è data dalla presenza di carne macinata."

Nossignori, il rispettabilissimo storico Ammiano Marcellino vi ha rifilato una bufala. I fieri cavalieri nomadi come mangiatori di carogne? Quest'idea poteva piacere allo storico dell'epoca ma non corrisponde al vero. La fetta di carne (mai di animali abbattuti perchè malati, figuriamoci!) serviva a guarire la schiena del cavallo - bene prezioso come oggi sarebbe una bella motocicletta - dalle ferite causate dalla sella. La sorta di poltiglia che per la sera diventava questa carne, era intrisa degli umori della ferita e del sudore del cavallo. Una cosa immangiabile, insomma. Nomadi si, ma scemi no...

mercoledì 23 maggio 2007

ungheresi, popolo dai grandi poeti sconosciuti


Noi ungheresi abbiamo un patrimonio inestimabile di poesia. La nostra lingua che, scritta, spaventa gli stranieri, è particolarmente duttile e adatta alla poesia, anche alle traduzioni poetiche. I nostri più grandi poeti ci hanno regalato superbe traduzioni della poesia mondiale. E le poesie sono vive nella nostra lingua, conosciute da tutti, un po' come la musica lirica tra gli italiani. Forse per questo ogni ungherese capitato all'estero tenta di trasmettere qualcosa di queste poesie alla sua nuova lingua. Me compresa.

Attila József

Nina-nanna

Abbassa gli occhi azzurri il cielo

abbassa gli occhi lucenti la casa

sotto un piumino dorme il prato

fai la nanna, piccolo Blasio.

Piega la testa sulla gamba,

dorme l'insetto, dorme la vespa,

dorme con loro anche il ronzio,

fai la nanna, piccolo Blasio.

Anche il tramvai s'è addormentato

e, mentre sonnecchia la corsa,

gli scappa un adagio scampanellio,

fai la nanna, piccolo Blasio.

Dorme sulla sedia la giacca

lo strappo dormicchia nella stoffa

per stanotte non avanza il danno,

fai la nanna, piccolo Blasio.

Assopita è la palla, riposa il fischietto

la scampagnata e tutto il bosco,

s' appisola lo zucchero filato,

fai la nanna, piccolo Blasio.

Ti darò l'infinito, come fosse birillo,

diventerai un marcantonio,

ma chiudi gli occhietti mio bello,

fai la nanna, piccolo Blasio.

Farai il pompiere, il soldato!

menerai le fiere dell'Asia!

Vedi, la mamma casca dal sonno

fai la nanna, piccolo Blasio.

venerdì 4 maggio 2007

vogliamo cominciare?

Ebbene si, anch'io ci voglio provare a pubblicare i miei pensieri che, come potete intuire, girano attorno alle poesie della mia lingua, l'ungherese, e alle ricette di cucina, di tutto il mondo.
E comincio subito con lo sfatare un mito.


Il goulash

Il goulash non è quel piatto di spezzatino piccante affogato nel pomodoro (!) con le patate che conoscete.
No, il goulash, o meglio gulyás, è una zuppa, di manzo e patate, ma zuppa è. Il piatto nazionale ungherese è il pörkölt (non vi torturate con la pronuncia, dite semplicemente porcolt che si capisce ugualmente). Il pörkölt in Ungheria si fa di tutto: di manzo, di maiale, di pollo, di coniglio, di wurstel, di uova, di funghi... ed è sempre buono. E la ricetta non è affatto tanto elaborata come si legge un po' dovunque. Come tutti i veri piatti nazionali, richiede pochi ingredienti facilmente reperibili sul posto, ed è geniale nella sua semplicità.
Provare per credere.

Ingredienti per 4 persone:
Carne di manzo o maiale o pollo o coniglio (non le parti più nobili ma quelle un po' grasse e coi nervetti) 600 g o più
cipolla, una grossa
strutto di maiale o, in mancanza, olio di girasole, 60 g (non burro, caspita, e non olio d'oliva che in Ungheria non si è mai conosciuto)
paprika dolce 1 cucchiaio + peperoncino piccante uno o più pizzichi a seconda dei gusti e delle tolleranze individuali
eventualmente 1 pomodoro e un pezzetto di peperone dolce
sale.
Tagliate la carne a tocchetti grandi come mezza scatola di fiammifero, riscaldate il recipiente da cottura possibilmente di acciaio, metteteci lo strutto o l'olio e aggiungete a piccole porzioni la carne, in modo da evitare che la carne perda i suoi succhi. Rosolate tutta la carne finchè diventa bella dorata e aggiungete la cipolla tagliata non troppo fina. Quando la cipolla ha preso un po' di colore e diventata quasi trasparente, togliete la casseruola dal fuoco e aggiungete la paprika dolce e il peperoncino. Girate e aggiungete un po' di acqua (o vino se ne avete ma che sia giusto mezzo bicchiere). Rimettetela sul fuoco e fate evaporare il liquido a fuoco vivace. Aggiungete un altro po' d'acqua e coprite. Unite l'eventuale pomodoro tagliato a pezzi e il pezzetto di peperone. Abbassate la fiamma al minimo. Aspettate che l'acqua si consumi, aggiungetene un altro po', coprite. Ripetete quest'ultima fase fino a quando la carne non risulta cotta, con un sughetto quasi cremoso. Se intanto la carne si abbrustolisce un po' non fa niente, difatti pörkölt in ungherese vuol dire proprio abbrustolito. Non dovete bruciarla però! Salate in ultimo.
Ecco tutto. Potete accompagnarla con le solite patate lesse, ma potete fare qualcosa di ben più esotico: la tarhonya.

Questo contorno è fatta di un tipo di pastina che in Italia può essere sostituita dal formato grattini o grandine. In Ungheria lo si trova fatta a mano (e somiglia ai grattini) o industriale (grandine). Ho scoperto che lo si usa nello stesso modo anche in Turchia! Difatti la procedura della preparazione somiglia molto di più al riso pilaf che a quella della pasta italiana.

Ingredienti:
3-4 etti di grattini o grandine
un buon cucchiaio di strutto di maiale o due di olio di semi di girasole
sale, acqua.
Scaldate lo strutto o l'olio in una padella o in una casseruola capace e versatevi la pastina. Girandola spesso fategli assumere un colore biondo dorato. Intanto preparate 3-4 dl di acqua bollente salata e, quando la pasta si è colorata, versatecela tutta. Coprite e fate cuocere la pasta a fuoco basso finchè l'acqua si consuma tutta. A questo punto assaggiatela e se è molto cruda, aggiungete altra acqua bollente, mezzo bicchiere circa. Altrimenti spegnete e aspettate, come per il risotto, un'Ave Maria. La pasta non deve risultare sfatta.

Un'aggiunta saporita: la panna acida, tejfel (pron. teifel) in ungherese. Non è panna andata a male ma è frutto di un processo particolare, una via di mezzo tra yogurt e panna da cucina. In mancanza, potete sostituirla con lo yogurt greco. Lega in modo eccellente ed aiuta a smorzare i toni troppo forti del peperoncino.